Nel regno dei balocchi

Il Museo del giocattolo antico di Senigallia ripercorre la storia dei giochi e del mondo dell’infanzia dalla fine del Settecento agli anni ’60 per capire meglio come venivano educati i nostri antenati.

La collezione privata raccoglie una miriade di giocattoli, bambole in biscuits, automobiline, biglie, giostre, dondoli, soldatini ma anche altri oggetti per capire meglio cosa offrisse il mondo di divertente ed educativo ai bambini dei secoli scorsi.

Il museo è stato fondato ad Ancona nel 1998 da Gabriele Schiavoni, in arte Ogiva. Contemporaneamente, vari pezzi della collezione sono stati esposti in mostre temporanee in diverse città d’Italia. Dal novembre del 2019 il museo ha trovato una nuova sede a Senigallia, in quelle che furono le scuderie del settecentesco palazzo Monti Malvezzi, in via Pisacane ai civici 43-45 ma con l’ingresso situato in via Maierini 13.

Ammirare questi oggetti non è solo un modo per conoscere meglio moda e tecniche delle epoche in cui essi sono stati prodotti; scoprire come e con che cosa giocavano i bambini del passato ci dice anche come venivano educati, quali erano i valori, chi erano i modelli di quella società. Lo si fa in un ambiente elegante, fra oggetti e decori in stile liberty, in un percorso che si articola in ventiquattro vetrine che raccolgono oggetti, giochi, immagini e schede di approfondimento per aree tematiche. Lungo il percorso, anche un piccolo teatro con una trentina di posti a sedere e un caffè letterario con edizioni rare e di pregio.

I giocattoli più allettanti?

Le “Barbie romane”. Sono due fedelissime copie realizzate dai fratelli Marconi, artigiani del legno e della ceramica, nel loro laboratorio Orient Express. La prima è la bambola snodabile in avorio appartenuta alla vestale Cossinia vissuta tra la fine del II e l’inizio del III secolo. Spalle, gomiti, anche e ginocchia sono snodabili! Essa presenta l’acconciatura in voga all’epoca, con la scriminatura centrale. La seconda bambolina romana, ricostruita sempre dai fratelli Marconi apparteneva a Crepereia Tryphaena, tredicenne romana della seconda metà del II sec. d.C.. In avorio, oggi imbrunito, probabilmente era stata resa più realistica da sfumature rosee; i capelli, probabilmente biondi, erano acconciati secondo la moda dell’epoca mentre lunghe trecce orizzontalmente avvolgono il capo. Anch’essa, ha arti snodabili, fori ai lobi e in uno scrigno di legno custodisce diversi accessori: pettinini in avorio, specchietti d’argento, monili d’oro.

Facciamo che io ero… il prete e la monaca. Ebbene sì, anche ai bambini del secolo scorso piaceva travestirsi; ma nel loro armadio non c’erano costumi da supereroe (e eroina), pompiere, veterinaria o principessa. I giochi di ruolo riguardavano perlopiù l’ambiente ecclesiastico. Tra le teche ritroviamo una bambola vestita da suora, un altare e riproduzioni in scala di oggetti per giocare a fare la messa che ci ricordano tanto la povera, piccola Gertrude, la futura monaca di Monza ne I promessi sposi, plasmata al suo destino, come altri bimbi del XIX secolo, anche attraverso il gioco.