Visionario

Da Montefiore dell’Aso a Shangai, passando per i grandi nomi del teatro del cinema italiano ed arrivando fino ad Expo 2015: la storia di Giancarlo Basili

Hai presente quando sei seduto sulle poltroncine del teatro o sei al cinema e a un certo momento di chiedi: ‘ma come l’avranno ricostruito questo ambiente?’ oppure quando entri in uno spazio espositivo così tanto particolare da definirlo assurdo – ovviamente nella sua accezione positiva – e vorresti tanto capire ‘come gli sarà venuto in mente?’
Ecco, la risposta a queste domande possono darcele persone come Giancarlo Basili: gli scenografi, quelli che rendono realtà le idee, quelli che creano quella sorta di magia ambientale senza la quale la storia, qualsiasi storia, non sarebbe la stessa e non avrebbe lo stesso impatto.

Animali domestici

Ciao Giancarlo. Raccontaci: come nasce la passione per la scenografia?
“Fin da ragazzo avevo passione per le arti visive. Ho frequentato l’Istituto d’Arte a Fermo e tutti i docenti mi consigliavano caldamente di proseguire il mio percorso anche nello step successivo, quello dell’università. Questo mi ha spronato ad iscrivermi all’Accademia delle Belle Arti di Bologna e poi mi sarei specializzato in scenografia…considera che erano gli anni ’70 quelli della contestazione giovanile, quelli in cui le grandi università erano spessissimo occupate. Perché te lo dico? Perché proprio per questo motivo quando non c’era la possibilità di frequentare le lezioni, me ne andavo al Teatro di Bologna, per osservare e per capire come lo scenografo lavorasse negli spazi teatrali. In quegli anni non si parlava di cinema, il teatro era l’unico punto di riferimento. Io ho avuto davvero una grandissima occasione a 19-20 anni di poter vivere e assistere alla messa in scena di questo grande teatro. Da qui mi è scattata una passione ancora più grande, perché ho compreso a pieno qual era la funzione dello scenografo”.

Muro della memoria

Il primo amore dunque è stato il teatro…
“Ho lavorato per circa 20 anni in teatro, al fianco dei più grandi da Ronconi a Pizzi. Ho messo in scena tantissimi spettacoli sia di lirica che di prosa. Proprio in questi giorni sto tenendo un master in Cineteca a Bologna, con centinaia di studenti ai quali ho raccontato proprio questa mia esperienza.

Come si può iniziare il percorso di scenografia?
Io posso dire di essere stato fortunato, anche se la fortuna in buona parte siamo noi stessi a crearcela, perché dopo un po’ che mi vedeva lì ad osservare, il Direttore degli allestimenti scenici del Teatro di Bologna mi prese in simpatia. Mi disse che dato che l’università era spesso occupata e che io venivo da lontano e fare sempre avanti e dietro per me sarebbe stato pesante, quando volevo potevo andare in teatro e iniziare a capire come si muove un palcoscenico a livello scenico appunto. Fu una grande occasione perché avevo appena 19 anni e mi veniva data la possibilità di essere al centro del lavoro, potendo rubare qualche segreto ai professionisti, dai macchinisti ai registi: facevo di tutto pur di poter strappare quel che mi serviva per farmi un’idea della funzione dello scenografo. Questo mi ha permesso di conoscere persone anche abbastanza importanti nell’ambito, le quali poi mi hanno introdotto all’interno di una struttura teatrale molto importante, quella del laboratorio di scenografia del Teatro Comunale di Bologna dove ho iniziato a lavorare come pittore scenografico iniziando a dipingere la grande illusione scenografica che allora andava molto. Ho avuto maestri straordinari, una grande scuola che mi ha permesso di imparare un mestiere che oggi sta scomparendo: realizzare le grandi scenografie e dipingere i grandi fondali, una vera e propria magia.
Per un periodo il teatro chiuse ed in quel frangente aprii io stesso un laboratorio a Bologna insieme ad un mio collega: per circa 20 anni a questo atelier si sono rivolti i registi più importanti, perché noi curavamo tutto, dalla progettazione alla realizzazione. Per un anno poi sono stato anche Direttore degli allestimenti scenici del Teatro di Bologna, ma la mia volontà era quella di proseguire nella mia ricerca”.

Ed è arrivato il cinema!
“Sì, nel frattempo era arrivato a Bologna il grande cinema. Il mio primo film è stato “Chiedo Asilo” di Marco Ferreri, con Roberto Benigni come protagonista. Ho lavorato con Pupi Avati e poi con Marco Bellocchio: ecco, lui è quello che ha dato la svolta alla mia vita professionale, perché mi ha fatto capire che cosa significava essere uno scenografo per il cinema. Come ti dicevo in Accademia si parlava solo di teatro e la prima parte della mia carriera era stata fortemente incentrata sullo spazio teatrale: il lavoro dello scenografo era quello di riempire in modo logico lo spazio a disposizione, innestando cambiamenti di scena disegnati, costruiti, dipinti. Nel cinema invece si lavorava in luoghi già esistenti e il lavoro dello scenografo era riadattare quei luoghi alla storia: qualcosa di completamente diverso! Devo dire però che la grande esperienza maturata in teatro mi ha permesso di introdurmi al cinema con grande facilità. Bellocchio è un visionario, così come lo scenografo di teatro è un visionario: ecco perché lui è stato una pietra miliare nella mia carriera nel cinema. Lavorando insieme a lui ho capito quanto il cinema permettesse all’immaginazione. Mi affascinava da matti e ho capito subito che la mia indole mi stava trascinando dal teatro al cinema.  Con Bellocchio ho fatto due film: “Gli occhi e la bocca” e poi “Enrico IV” con Mastroianni…lavorare a soli 30 anni con quello che era l’attore più importante di quel periodo è un ricordo indelebile!”.

Film Giordana Romanzo di una strage – Ricostruzione della banca

Il teatro dunque è stato fondamentale per spiccare il volo nel cinema?
“Dopo tanti anni, non dico che il teatro fosse diventato routine, ma le opere si ripetevano. Quando ho capito che il cinema poteva offrirmi di più mi sono totalmente dedicato a questo ambito e sono arrivato a lavorare con Moretti, Salvatores, Amelio, Giordana. Ma senza il teatro, non avrei potuto dare tutto quello che ho fatto e soprattutto non avrei avuto la possibilità di scegliere. Io ho deciso di dedicarmi solo al grande cinema d’autore italiano, di accettare solo film ai quali tenevo davvero. 
Il teatro è stata una grande scuola che mi ha permesso di parlare al cinema, di lavorare con grandi autori, in film nei quali la scenografica non era solo location, ma anche creatività: un luogo diventa importante quando diventa importante una storia. Pensate per esempio a ‘Io non ho paura’ di Salvatores o ‘La sedia della felicità’ o ‘Anni felici’ di Lucchetti: pellicole come queste permettono ad uno scenografo di spaziare in tanti campi ed in tante epoche. Lo scenografo deve sempre essere preparato per qualsiasi racconto. Se il film è ambientato ai giorni nostri, si deve stare attenti a non finire nello scontato; nei grandi film storici come ‘La grande migrazione’, la scenografia è determinante. Ecco, lo scenografo deve avere una conoscenza, che attraversi il mondo e le epoche, deve portarsi dietro una grande cultura. La storia dell’arte e la ricerca che tanto mi avevano aiutato in teatro, ora mi davano quel qualcosa in più anche nel cinema”.

Nella tua carriera c’è stato anche l’insegnamento, alla Facoltà di Economia di Ancona. Come sei arrivato a fare il docente?
“Questa parentesi di insegnamento è nata in modo molto strano. Una delle collaborazioni più importanti e lunghe che ho avuto nel mondo del cinema è stata quella con la casa di produzione di Nanni Moretti. Ho realizzato le scenografie di quasi tutti i suoi film, tra i quali ‘La stanza del figlio’, Palma d’oro a Cannes, girato proprio ad Ancona. Dopo aver esaminato assieme a Nanni tante città italiane, io ho consigliato Ancona: la voleva sul mare, con una particolare apertura sul porto…era perfetta! Si è aperto dunque un dialogo con la Regione Marche ed il Comune di Ancona, nella persona dell’allora Assessore Antonio Lucarini: è stato davvero una grande risorsa! Con lui nacque un sodalizio molto importante, mi portava a girare per i luoghi di Ancona che diventò il nostro set naturale. Ma la collaborazione con lui non si esaurì al film perché mi propose di realizzare una grande mostra del mio lavoro alla Mole Vanvitelliana. Mi portò a vedere lo spazio, talmente bello che me ne innamorai e creai un percorso visionario di 3.000 mq che si snodava nelle anse del cinema italiano. Fu una mostra meravigliosa tanto da essere poi proposta a San Benedetto del Tronto ed a Bologna ed oggi una parte è esposta in forma permanente a Montefiore dell’Aso.
In nome di questo grande successo, nacque anche l’idea di inserire un corso di cinema all’interno della Facoltà di Economia e Commercio: all’inizio c’era un po’ di scetticismo, tanto che partimmo con 7 iscritti. Alla fine siamo arrivati a circa 200! E’ stata un’esperienza durata sette, otto anni e che ricordo con molto piacere”.

E il passo alle grandi scenografie di eventi, come quella dell’Expo di Shangai?
“In realtà io non mi sono limitato mai a fare solo cinema. Alternavo sempre cinema e teatro e contemporaneamente venivo chiamato anche a realizzare grandi e piccoli allestimenti.
Istituzioni come la Triennale di Milano mi chiamavano quando avevano dei grandi avvenimenti e volevano qualcuno in grado di raccontarli scenograficamente in un modo diverso, più visionario rispetto a quello che avrebbe potuto proporre un architetto. Anche in questo caso, ho sempre avuto la fortuna di poter scegliere: accettavo solo se l’idea mi interessava.
E’ probabile che a far cadere l’attenzione sul mio lavoro, sia stata la scenografia proposta in ‘Nirvana’ di Salvatores, dove ho riadattato al racconto una grande architettura industriale.
A collaborare per l’Expo di Shangai mi chiamo la Triennale di Milano alla quale si era rivolto l’allora commissario dell’Expo. Non avevo mai progettato un allestimento così grande, fu una sfida bellissima e loro mi hanno lasciato completamente carta bianca, mi hanno solo chiesto di realizzare qualcosa di unico, originale, visionario: l’architettura del padiglione ebbe uno straordinario successo, tanto che è ancora oggi in piedi”.

Ed arriviamo così ai giorni nostri, alla progettazione di Padiglione Zero per l’Expo 2015 di Milano!
“Il curatore del progetto è Davide Rampello, lo stesso di Padiglione Italia e colui che era Presidente della Triennale di Milano quando mi chiamarono a collaborare per l’Expo di Shangai. Mi ha chiamato lui per progettare l’allestimento di Padiglione Zero, quello che è già diventato il fiore all’occhiello dell’Expo. Ho pensato di realizzare, nei 10.000 mq di spazio a mia disposizione, un percorso molto visionario ed importante, un percorso tematico che racconta il significato dell’Expo 2015, ‘Nutrire il Pianeta, energia per la vita’: una grande ambientazione scenografica. Forse è uno dei lavori più grandi che mi sia capitato, quasi michelangiolesco potrei dire!”.