I cammini delle fate

Una meditazione tra le Lame Rosse

La verità è che a parlarci oggi sono gli Dei dell’età della tecnica: il denaro, il consumo, il PIL, il merito…… gli Dei del passato se ne sono andati e non ascoltiamo più il Dio che ci parla dentro. Abbiamo perduto l’entusiasmo (dal greco: [en] dentro [thèos] dio. Il dio dentro). Ma ci sono luoghi incantati che stimolano ancora la nostra fantasia evocando altri luoghi, storie, presenze e leggende. È il caso delle Lame Rosse di Fiastra, uno dei posti più affascinanti del parco dei Monti Sibillini, che tutti, almeno una volta della vita, dovrebbero visitare. Dette anche i camini delle fate, sono spesso paragonate ai canyon americani o a quel meraviglioso altopiano situato nella regione turca della Cappadocia, nell’Anatolia centrale. L’erosione naturale ha creato nei secoli un meraviglioso paesaggio lunare carico di una bellezza e di un magnetismo unico e particolare.

Ci si arriva attraversando la diga di Fiastra che si apre sulla valle del Fiastrone, si prosegue all’interno di un bosco di lecci e dopo circa un’ora e mezza di camminata si giunge ad una piccola valle, al di sopra della quale si trova la formazione delle Lame Rosse: una vera e proprio Monument Valley nel cuore delle Marche. Si tratta di formazioni geologiche a forma di pinnacoli e torri costituite da ghiaia tenuta insieme da argilla e limi, formatesi grazie all’erosione millenaria degli agenti atmosferici, che conferiscono alle rocce la forma caratteristica di fungo. L’acqua piovana contiene infatti anidride carbonica, capace di rendere solubile la roccia. La reazione chimica che ne consegue dà come prodotto finale una degradazione del carbonato di calcio in bicarbonato acido di colore rossiccio, più acceso all’alba e al tramonto. Queste “sculture” sono in perenne modifica: uno spettacolo sorprendente, bello ma tristemente effimero: ogni anno infatti è possibile notare forti differenze nella forma ma tra qualche decina di anni ben poco resterà di queste sculture naturali.  I pinnacoli sembrano inoltre essere a protezione di un angusto passaggio che sfocia nel fosso della Regina dove, nei giorni di pioggia, si viene a formare una cascata d’acqua alta oltre 100 metri chiamata “Salto della Regina”. È un paesaggio difficile da descrivere che poco ha in comune con ciò che le circonda ma l’armonia delle sue forme si fonde perfettamente col contesto in cui sono inserite.

© A. Tessadori

Non appena si scava un po’ più a fondo nella tradizione popolare emergono reminiscenze di un mondo antico, subito riconosciuto dal nostro inconscio perché costituisce il nostro vero substrato culturale delle origini, prima dell’avvento della cultura giudaico-cristiana che ha soppresso il mondo come luogo magico. Queste composizioni rocciose a forma di pinnacoli vengono denominate fatate in quanto secondo la leggenda del luogo i massi sulla sommità furono posati da divinità celesti. Camminare in primavera tra queste montagne è un’emozione unica, un’autentica meditazione ad occhi aperti, guidata dall’energia che si sprigiona dal luogo stesso. Permette di sentirsi ancora per una volta totalmente immersi in boschi incantati, nei miti, nelle storie e nelle leggende.

Il vento tra i capelli, lo scrosciare delle cascate, il risalto dei fiori nel sole, la roccia brillante di cristalli, la terra soffice e polverosa che dona alle pareti rocciose riflessi rossastri. Il profumo dell’aria e il silenzio del cielo azzurro guidano il visitatore in una regressione che lo spinge a sentirsi di nuovo bambino, piccolo dinanzi a questi giganti di pietra. Viene allora spontaneo lasciarsi trasportare in questo mondo ancestrale e pagano, riconosciuto dal nostro inconscio e fatto di esseri fatati. Ci si sente posseduti dagli spiriti dionisiaci del luogo e dall’ebbrezza del vino, presi in una danza estatica per un attimo ritroviamo il Dio che ci abita, la nostra vera natura interiore, sempre sospesa nella quotidianità. Nelle notti di luna piena il luogo si trasforma in un autentico paesaggio lunare dove le fate dei racconti filano segretamente, intrecciando filamenti di candido lino ai raggi di luna e disegnando sulla loro tela il destino degli uomini.

di S. Longhi