Amato Lusitano: un marrano ad Ancona

Esiste un pezzo di storia della Marca Anconetana che resta sconosciuto ai più. Un arco temporale che interessa la seconda metà del Cinquecento in cui Ancona conobbe lo splendore e la miseria nel volgere di pochi anni. A questa storia si intreccia la micronarrazione di un medico ebreo converso o marrano che soggiornò nelle nostre terre proprio in quegli anni apportando un contributo significativo nel campo dell’epistemologia medica e dell’etica della medicina.

Lo sconosciuto in questione prende il nome di Amato Lusitano, latinizzazione del nome ebraico João Rodrigues o Iohannes Rodericus vissuto tra il 1511 e il 1568. Grande esperto di botanica, oltre che di medicina, Lusitano fu anche un dotto poliglotta padroneggiando, oltre la lingua madre, una grande varietà di idiomi come il latino, il greco, l’arabo, il castigliano, l’italiano, il francese e il tedesco. Un bagaglio linguistico che, di certo, acquisì spostandosi da un luogo all’altro con la sua famiglia per sfuggire alle persecuzioni religiose dell’Inquisizione contro i marrani, rei di continuare a vivere secondo gli usi e costumi ebraici in privato pur professando pubblicamente il cristianesimo.

Terminati gli studi in Medicina avvenuti in Portogallo, Lusitano fu costretto a riparare prima nelle Fiandre, ad Anversa, poi a muovere a Venezia e, infine, a stabilizzarsi a Ferrara per sette anni. Nella terra estense, tuttavia, si era venuto a creare un clima ostile per Amato e per la sua famiglia, a causa del fallimento della società commerciale che lui e i suoi parenti avevano costituito con il duca Ercole II d’Este. I suoi zii avevano accumulato un grosso debito nei confronti del duca, estinto solo nel 1549, per il quale Lusitano si era fatto garante in solido. L’ambiente ferrarese divenuto ormai poco benevolo, unitamente alla presenza del fratello nei luoghi anconetani, spingono il medico portoghese a giungere in Ancona nella primavera del 1547 rimanendovi fino all’estate del 1555.

A quel tempo, la meta anconetana era alquanto ambita dagli ebrei perseguitati: con il crollo della Repubblica Marinara di Ancona, il pontefice Paolo III Farnese aveva inaugurato una politica di apertura nei confronti degli ebrei sefarditi nella convinzione che le loro abilità nei commerci internazionali, nonché gli ingenti investimenti di cui si facevano fautori, potessero favorire i traffici con l’Oriente e con l’intero commercio ottomano. I privilegi loro concessi furono molteplici: l’esplicita protezione contro le manovre dell’Inquisizione, la franchigia del porto, la piena libertà di movimento (senza alcun obbligo di riconoscimento) e di commercio. Ben presto, nella sola città di Ancona, il numero dei marrani portoghesi era salito ad almeno tremila unità divenendo il maggior agglomerato ebraico dell’Italia centrale dopo Roma. Ciò assicurò un periodo di grande prosperità all’intera cittadinanza che raggiunse il suo culmine con la decisione del sultano Solimano I di convogliare l’intero commercio del suo impero verso il porto di Ancona.

Su questa cornice si staglia l’operato di Amato Lusitano, precursore della medicina moderna e fondatore di un nuovo genere della letteratura medica, ovvero le curationes o observationes. Si tratta di racconti di casi clinici in cui la diagnosi del paziente non veniva più elaborata a partire dalle categorie fornite dalle teorie dei medici arabi e greci, come Galeno, Ippocrate, Avicenna, così come era avvenuto nel Medioevo, ma creata a partire dal paziente stesso. Ciascuna centuria contiene  cento curationes, vale a dire cento casi clinici occorsi alla sua osservazione, dove si procede per sintomi, anamnesi, prognosi e indicazioni terapeutiche. Si legge, ad esempio, di una donna trentacinquenne che aveva contratto la sifilide dal marito; di un mercante di quarant’anni che dalla Puglia era giunto in Ancona e che venne curato per un dolore al costato; della figlia del conciatore di pelli che si ammalò in estate e che in autunno impazzì; delle storie di alcune puerpere, osservate da Amato in Ancona, che avevano avuto parti anomali o che, dopo un aborto, avevano partorito animali. Ma le curationes sono anche il pretesto per discutere di temi etici come quella in cui Lusitano affronta il tema del rapporto interprofessionale assolvendo dall’accusa di incompetenza un collega, tale Calaphurra, che aveva provocato la morte della figlia di otto anni del Maestro Leone ebreo, insegnante di ebraico in Ancona.

La modernità di Amato si esplica nell’idea di una medicina scevra da qualsiasi condizionamento sociale e religioso che lo porta ad affermare di non aver mai fatto caso alla posizione elevata o meno del malato, avendo trattato con la stessa diligenza i poveri e i nati “in altissimo loco” e di considerare alla stessa stregua ebrei, cristiani e musulmani. Questo lo si evince sia nelle stesse curationes quando il medico portoghese riporta casi complessi sotto il profilo morale, come i comportamenti femminili di un uomo o il transessualismo di Maria Pacheca da femmina verso maschio; sia nel Giuramento da lui composto, una sorta di testamento in cui Lusitano, descrivendo la sua vita professionale, giura su Dio e la Torà che tutto il suo operato fu legittimato dal desiderio di arrecare un vantaggio ai mortali e di adoperarsi assiduamente nella ricerca della verità.

La florida condizione di cui Amato poteva godere ad Ancona inizia però a vacillare con l’avvento al soglio pontificio di Papa Paolo IV Carafa, capo del partito reazionario cattolico, che con l’emissione della bolla Cum nimis absurdum revocò tutti i privilegi concessi dai suoi predecessori nei confronti degli ebrei sefarditi, pose il divieto di possedere beni immobili e prescrisse l’ordine di bruciare vivi al rogo in Campo della Mostra (oggi Piazza Malatesta) ventiquattro marrani che rifiutarono di prestarsi all’ennesimo ripudio della loro fede. Altri ebrei vennero imprigionati, di cui uno si uccise in carcere, ventisette furono inviati alle galere a Malta, trenta riuscirono ad evadere corrompendo il commissario pontificio. Solo un esiguo numero riuscì a rifugiarsi a Pesaro, su invito del duca di Urbino Guidobaldo II: fra questi c’era anche Amato Lusitano che riparò poi a Salonicco dove morì di peste nel 1568.

  di A. Lucaioli