Sefro, culla del francescanesimo

Un affresco dai colori sbiaditi, posto sulla parete di fondo di una antica chiesetta, tratteggia la figura scrostata di un frate. Una comunità di poche case lungo il torrente e un’antica pieve posta all’ingresso del paese accucciato ai piedi dei Monti Sibillini giacciono sotto l’ombra arcana della Valle Scurosa.
E poi un sentiero che si inerpica lungo il Monte Crestaio sino a raggiungere un balcone naturale dove si avvicendano grotte antiche luogo di eremitaggio.
Pare essere l’incipit di un romanzo che mescola storia e natura alla devozione cristiana, invece si tratta della descrizione di alcune zone della frazione di Agolla, piccola comunità all’ingresso del Comune di Sefro, in provincia di Macerata.

Nell’aria i profumi della montagna nel circolo dei Monti Sibillini che abbraccia la vallata e su un palmo di mano eleva a 900 metri l’altopiano di Montelago. Lo scrosciare di acque pulite regala alla cucina locale la tradizione benevola della trota e il silenzio dona agli animi il placido dondolio del tempo.
Questo territorio collocato nelle Marche al confine con l’Umbria racconta di storie antiche, senza tempo, di passaggi di viandanti lungo la Valle Scurosa. Racconta di frati francescani che nel ‘200 dall’Umbria si spostarono sino a raggiungere questi luoghi di pace e di riflessione. E ancora più indietro nel tempo, racconta di riti pagani, di mistici, di oracoli e sibille.

Una dimensione ascetica che dal paganesimo, oggi, si sposta sempre più verso una religiosità fatta di frati dal saio di sacco e sandali ai piedi. Le Marche in fondo sono luogo di storia del francescanesimo, basti pensare ai quattro Papi francescani della Chiesa Romana.

Il mistero che avvolge la storia di Sefro e di Agolla si intreccia con il francescanesimo, tra memorie orali e percorsi storiografici da verificare. Perché in quella piccola pieve a guardia del cimitero, la chiesa di San Tossano, alle spalle dell’altare da secoli riposa la figura di un santo riconosciuta da alcuni come la prima effige di San Francesco.  E in una di quelle grotte calcaree tra i vari eremiti che le abitarono, si narra che si rifugiò il Beato Bernardo da Quintavalle, primo discepolo del santo di Assisi. Sefro parrebbe essere quindi una culla del francescanesimo, dove il primo e più intimo seguace di San Francesco si rifugiò in un periodo della sua vita, e dalla sua presenza si generò una comunità talmente fervida da inserire nell’affresco la prima effige del patriarca dell’ordine dei frati minori.

È davvero così o si tratta di credenze popolari?

Gli studi voluti fortemente dal Sindaco di Sefro Giancarlo Temperilli, con l’adrenalinica assunzione del rischio che affermino la matrice superstiziosa dell’intera vicenda, stanno in realtà rivelando numerose curiosità.

Raimondo Michetti, storiografo e membro della Società Internazionale degli Studi Francescani, riprende la figura di Bernardo da Quintavalle, il ricco mercante assisano primo a convertirsi alla figura di San Francesco, in quell’unico riferimento storiografico a Sefro e cioè quello di Padre Angelo Clareno. Padre vigoroso della contestazione parla della persecuzione interna all’ordine dei frati minori del 1232-1239 e annovera Bernardo tra i frati che si rifugiarono in eremitaggio. Proprio a Sefro, secondo quanto scrive il Clareno, Bernardo visse in una grotta per due anni lavorando in incognito per un falegname e proseguendo quindi la regola del testamento francescano del “laboricium” che non voleva i frati dedicarsi all’ozio.
Questa testimonianza rafforzerebbe la tesi secondo la quale quell’affresco nella chiesetta di San Tossano raffigurerebbe proprio San Francesco.

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Sulla questione è intervenuta l’ex Soprintendente per i Beni Artistici e Storici delle Marche, Maria Giannatiempo Lopez che nella pittura tardo duecentesca della chiesetta di S. Tossano rinviene proprio l’immagine del santo di Assisi contrastando quanto sostenuto dallo storiografo Vergani che ne riconosce invece Sant’Antonio da Padova. La tesi della Giannatiempo si fonda sullo studio del rapporto tra i due santi nelle raffigurazioni del ‘200. Nella tradizione pittorica San Francesco viene raffigurato sempre alla destra del crocifisso, in segno di importanza, mentre solo alla sinistra Sant’Antonio. Iconograficamente poi, il santo padovano viene dipinto nel gonfiore che connota la malattia che lo affligge, l’idropisia, contrariamente al santo di Assisi sempre smunto e scavato in volto, esattamente come apparirebbe anche nell’affresco di Agolla. Ultima roccaforte della posizione della Giannatiempo Lopez sta nel fatto che la figura sulla sinistra del crocifisso sia stata completamente andata persa a causa di un allargamento della chiesetta, motivo in più per credere che il santo che “non siede alla destra del Padre” non fosse di primaria importanza.

Per dirla con il sommo Guicciardini, “Fede non è altro che credere con openione ferma, e quasi certezza le cose che non sono ragionevole, o, se sono ragionevole, crederle con più resoluzione che non persuadono le ragione”. Gli studi proseguono e affermeranno ciò che è ragione, ma prima ancora che questa possa bastare, Sefro e le sue grotte e la chiesetta di San Tossano sono già mete di pellegrinaggio per chi cerca, nei passi francescani, se stesso e Dio, colui che di fatto è in ogni luogo.

di E. Sabbatini