L’orologio a sei ore: mistero e tradizione

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Un singolare orologio svetta sul Palazzo degli Anziani ad Ancona

Passeggiando per il centro della città dorica e spingendosi fino a piazza Stracca (conosciuta fino a qualche anno fa come piazza del comune) ecco ci si imbatte nel maestoso Palazzo degli Anziani, sede del consiglio comunale di Ancona. Un palazzo antico, anzi antichissimo se pensiamo che secondo le prime attestazioni storiche tale edificio fu fatto costruire nel 425 d.C. su richiesta di Galla Placidia, governatrice dell’Impero romano d’Occidente, come sede dell’amministrazione imperiale. Tale struttura fu poi distrutta in seguito all’invasione dei Saraceni nell’839 d.C. L’attuale edificio venne innalzato nel 1270 e fu oggetto di varie e diverse ristrutturazioni sia interne sia esterne che si sono protratte nel corso dei secoli successivi. Proprio in occasione di uno di questi rifacimenti, nel 1647 venne eretta la facciata laterale, fornita di un campanile a vela e di un orologio incorporato. Sì, ma non un orologio qualsiasi, come lo conosciamo noi oggi, bensì un orologio a sei ore.

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© A. Tessadori
IL MISTERO DELL’OROLOGIO A SEI ORE

Ebbene sì, sarà capitato anche a voi di ritrovarvi a passeggiare nei pressi di tale palazzo e, volgendo gli occhi verso l’alto, mentre lo sguardo indugia nell’osservare le logge, i timpani spezzati e i bassorilievi della facciata, scorgere un quadrante particolare, che sembra proprio ricordare un orologio. Ma qualcosa ci sorprende: perché è diviso in sei ore, anziché in dodici, come ogni comune orologio a lancette? Il mistero si infittisce, considerando anche che in tutta la città dorica solo questo esemplare ha tale caratteristica. In realtà, questo curioso strumento di misurazione del tempo non ha nulla di esoterico: è semplicemente un tipo di orologio antico, chiamato anche “a ore romane o italiche” che vigeva in Italia fino all’arrivo di Napoleone, quando il condottiero impose il modello francese (quello a dodici ore che impieghiamo ora) anche da noi.

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© A. Tessadori
LA MISURAZIONE DEL TEMPO

Ma quale meccanismo regola questo singolare orologio? Innanzitutto notiamo che sul quadrante scorre una sola lancetta che compie quattro giri completi in 24 ore. Dunque l’intera giornata è scandita da quattro intervalli da sei ore ognuno, a differenza dei due da dodici ore che impieghiamo noi oggi. Il giorno è calcolato dal tramonto fino al tramonto successivo (il compimento della ventiquattresima ora). Sono quindi ore equinoziali, in cui la durata della notte corrisponde alla durata del giorno che viene computato dall’”Ave Maria”, il momento corrispondente alla fine del crepuscolo. In tale occasione le campane delle chiese diffondevano il loro richiamo ai fedeli per invitarli a recitare la preghiera; da qui il detto “Suona l’Ave Maria”. Le campane non solo suonavano a ogni scoccare dell’ora, ma anche un minuto più tardi, nella cosiddetta “ribotta” (o “alla lombarda”), il suono ripetuto.

ORIGINI ANTICHE

Il sistema italiano a sei ore venne introdotto dalla Chiesa intorno al XIII secolo ed era diffuso in particolare lungo tutto lo stivale. Così l’orologio, sovrastando le vallate dall’alto dei campanili dove era posizionato, scandiva le giornate facendo risuonare in tutta la vallata le campane che suonavano ogni ora. Ancora oggi si sentono detti e modi di dire legati alla misurazione del tempo e riusciamo a dar loro una spiegazione. “Suona la ventiquattresima ora”, momento nel quale il tramonto finisce e ha inizio l’ora dell’Ave Maria, quando la giornata termina e ci si può dedicare alla preghiera prima di addormentarsi. Chi, poi, non ha mai sentito dire “portare il cappello alle ventitré”? La ventitreesima ora segnava che il giorno stava via via morendo e dunque tenere il copricapo in una certa posizione significava inclinarlo sulla fronte per proteggere gli occhi dai raggi del sole che, basso, stava tramontando. “Far merenda a ventun ore”, invece, indicava il momento adibito allo spuntino pomeridiano.

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© A. Tessadori
LE SEI ORE DI ALESSANDRO MANZONI

I lettori più attenti, appassionati delle peripezie di Renzo e Lucia, “promessi sposi” creati dalla mente del celebre scrittore milanese Alessandro Manzoni, avranno notato come, in alcuni passi, venga indicato l’orario basandosi sul sistema a sei ore. Ad esempio, nell’undicesimo capitolo, Manzoni scrive “Il buon uomo tornando, verso le ventitré, con il suo baroccio a Pescarenico” e non si riferisce alle ventitré che intendiamo nel 2020, bensì a quelle del Seicento, dato che la vicenda di Lucia e Renzo, pur scritta nella prima metà dell’Ottocento è ambientata nel XVII secolo: dunque alle 16,30 circa, in un mese invernale.

L’orologio a sei ore, gelosamente custodito dal Palazzo degli Anziani di Ancona, è testimonianza, dunque, di una tradizione secolare che accompagna ancora oggi i nostri detti e modi di dire.

di I. Cofanelli